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Articolo a cura del Dott. Giacomo Trallori – Il pane è un alimento che ha fatto la storia dei popoli e soprattutto che ha sfamato le popolazioni in tempo di carestia. Un vecchio proverbio dice che “una fetta di pane non si nega a nessuno”. Nonostante ciò i giornali scrivono che l’Italia non mangia più pane.

Il pane rappresenta un alimento basilare della dieta mediterranea e non solo, visto che l’abitudine di mangiare pane, in tutte le sue varietà, è comune a tutto il mondo occidentale.
In origine il pane era prodotto con farine di vari tipi di cereali, miglio, segale, orzo, in base alle aree e alle disponibilità agricole; non era lievitato e veniva cotto su una griglia o su una pietra. Ne risultava una specie di focaccia piatta ben lontana dal tipo di pane che si conosce oggi e che nasce dopo la scoperta della lievitazione.
Oggi l’impasto si ottiene con farina di grano e acqua, viene sottoposto a lievitazione e cotto al forno. L’impasto di base viene a volte arricchito e presenta delle differenze caratteristiche nelle varie regioni.
Fin dalla mia infanzia ho imparato a contemplare il cibo e a gustarlo. Le nostre case cinquanta anni fa erano povere abitazioni. La cucina era il luogo dove si viveva. Sul tavolo al centro di quel locale era tradizione che ci fosse sempre durante il giorno una bottiglia di vino, un orciuolo di olio e una grande pagnotta. Un tovagliolo di lino proteggeva il pane dalle mosche.
Louis Bromfield, nato in Ohio nella fine dell’Ottocento e occupatosi di agricoltura e poi vissuto in Francia, sosteneva che “il pane è il re della tavola e tutto il resto è solo la corte che lo circonda. Le nazioni sono la minestra, la carne, le verdure, l’insalata”.
Nonostante tutta questa storia il consumo del pane negli ultimi15 anni in Italia è dimezzato. Addirittura, secondo i dati diffusi da Coldiretti, in occasione della Giornata mondiale del pane, che si celebra il 16 ottobre, in concomitanza con la Giornata Mondiale dell’Alimentazione, si è arrivati al minimo storico: ogni persona consuma in media solo 85 grammi di pane al giorno. Non si fa più la “scarpetta” con il sugo e si mangia meno pane e olio e pane e cioccolata.

Nelle famiglie è sempre meno diffusa la tendenza a cucinare torte e cibi freschi e a consumare il pane per merende e colazioni: si preferisce ricorrere a merendine e biscotti confezionati.

Colpisce, inoltre, nei giovani un senso di consapevolezza delle abitudini alimentari errate. Infatti essi comprendono l’importanza di un’alimentazione sana e sanno di non mangiare sempre bene come dovrebbero. Il cibo ‘sano’, come il pane, però risulta noioso e poco saporito, si pensa richieda troppo impegno e che sia costoso.

Gli adolescenti sembrano conoscere certi principi sulla nutrizione e sulla salute, ma da numerosi commenti emergono le difficoltà a mettere in pratica tali teorie, probabilmente anche a causa di equivoci e fraintendimenti. Eppure, nonostante questi aspetti negativi che riguardano il consumo di pane, in Italia ci sono oltre 250 tipi diversi, con oltre mille varianti, che vanno dalle isole alle Alpi. Sono pani più o meno noti, confezionati da piccole comunità, cotti nel forno a legna, che varrebbe la pena conoscere e scoprire. Le varietà di pane presenti nelle varie regioni italiane sono infatti molto numerose e in ogni area vengono impiegati gli ingredienti a disposizione. Tra questi ben 5 sono stati addirittura riconosciuti dall’Unione Europea. La Coppia ferrarese, la pagnotta del Dittaino, il pane casereccio di Genzano, il pane di Altamura e il pane di Matera.

Inoltre fare il pane in casa propria è una terapia; la consiglio a tutti, anche a coloro che non hanno mai impastato. Attenzione però perché può creare dipendenza, e non solo quando si ottengono buoni risultati. Quei pochi ingredienti (acqua e farina) che, mescolati e impastati, tra le mani si trasformano in qualcosa di vivo, che grazie a dei processi di lievitazione diventa quello che è il nutrimento primario della razza umana, uno degli alimenti più antichi dall’inizio della civiltà, diventano una sorta di celebrazione.
A causa di un aumento dei disturbi dell’alimentazione, infatti, i consumatori sono sempre più orientati a preferire prodotti biologici: “Sono nati nuovi prodotti senza glutine e a base di cereali alternativi al frumento (kamut, farro)”. Sempre più apprezzate – precisa la Coldiretti – sono dunque le varianti salutistiche e ad alto valore nutrizionale (a lunga lievitazione, senza grassi, con poco sale, integrale, a km 0 come il pane realizzato direttamente dai produttori agricoli) di grano locale spesso salvate dall’estinzione. Ad essere preferito, anche se il consumo è in costante calo, continua ad essere il pane artigianale che rappresenta l’88% del mercato, ma – sottolinea la Coldiretti – cambia la pezzatura più gettonata che scende del 50% nei dieci anni, da 1,5 chili ad un solo chilo.
Non c’è da stupirsi se poi fa male alla pancia: secondo il professor Franco Berrino, dell’Istituto Nazionale dei Tumori, la farina “00” fatta con questi grani è il “veleno” della nostra epoca, poverissima di micronutrienti, dal sapore scialbo e secondo molti responsabile del boom di intolleranze al glutine registrate negli ultimi decenni.
Ecco perché sono moltissimi i consumatori e i produttori che hanno iniziato a ricostruire filiere del grano autentiche, riscoprendo varietà con meno glutine e più micronutrienti (vitamine, sali minerali, antiossidanti). Varietà selezionate dalle mani esperte dei contadini attraverso i millenni e passate di generazione in generazione poiché si adattavano meglio al microclima, al terreno e al carattere del luogo.
Crescono senza bisogno di violentare la terra con i fertilizzanti chimici o di prosciugare le falde acquifere per irrigare, servono anche meno pesticidi poiché sono più robuste e si ammalano meno.

Mangiare grani antichi, invece di quelli comunemente in commercio, potrebbe preservare la salute del cuore. Col pane fatto con questi frumenti appaiono in calo i livelli del colesterolo (quello “cattivo”), la glicemia e altri valori che costituiscono fattori di rischio per infarti e ictus. All’Università di Firenze è stata condotta questa prova, pubblicata sull’International Journal of Food Sciences and Nutrition.

Quando Nicholas Supiot, contadino fornaio francese, mostrò le sue farine a un fornaio convenzionale, quest’ultimo gli disse: “queste non sono panificabili”. Invece sì. Ma la lavorazione del pane è diversa: “Il grano antico è come la donna difficile, per una buona riuscita ci vuole delicatezza. Bisogna impastarlo umido, lasciarlo lavorare da solo senza violenza e accanimento: lavora quando non lo lavori”.