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Articolo a cura del Dott. Daniele Losco – Ogni ragazzo (o ragazza), per intraprendere la strada che lo porterà a diventare adulto (o, per lo meno, tentare di completare il processo di maturazione personale), deve mettere in crisi le sicurezze familiari. Deve uscire dal circuito protettivo.
Per facilitare questo processo, sono necessari dei passaggi intermedi. Il passaggio più rappresentato è senza dubbio quello dell’affidarsi al “Gruppo dei pari”. Per sfuggire all’ambiente familiare, considerato troppo repressivo, regressivo, dove c’è un’autorità ritenuta dispotica, ci si affida a un gruppo che all’apparenza appare più “democratico” e con leggi più attinenti alla filosofia di vita che si vuole seguire.
Così deve essere, è un passaggio fondamentale. Genitori troppo permissivi, i famosi “genitori sessantottini”, che non davano regole, che ritenevano che i ragazzi dovevano da subito imparare ad autoregolarsi, hanno combinato più guai della grandine. Con loro non erano necessari i sotterfugi. Ogni sciocchezza che veniva in mente era una “esperienza” necessaria e condivisa (anche fumare qualche innocente spinello, magari insieme). Questa modalità educativa, per fortuna di breve durata, ha creato non pochi problemi proprio perché negava ai figli la possibilità di sperimentare sulla propria pelle comportamenti alternativi, con la consapevolezza di trasgredire.
Dove lo mettiamo il fascino della trasgressione, il batticuore del timore di essere scoperti, il timore delle terribili conseguenze, fatte di ritorsioni, punizioni, perdita di credibilità? Ovviamente questi timori, per i più audaci, portavano a forme di maggiore scaltrezza, ricerca di forme di trasgressione sempre più raffinate, diciamo anche sviluppo di creatività.
Il gruppo dei coetanei, il “branco”, da sempre, ha preteso queste prove di audacia, di coraggio, con rituali più o meno variopinti (e diversi da cultura a cultura e nelle diverse epoche storiche), detti “riti di iniziazione”.
All’interno del gruppo l’adolescente si sente sostenuto, rassicurato nei suoi tentativi di autonomia, nelle sue azioni, spesso singolari, eccentriche, poco urbani. Sono tentativi, prove, che richiedono aggiustamenti per essere accettabili e accettate.
Ma l’importante, al momento è adeguarsi al gruppo, non alla società.
I riti di iniziazione si sono evoluti nel tempo come modalità di espressione, ma le tematiche sono invariate: il rapporto con il corpo, con il dolore fisico, con il pericolo, con il coraggio.
Se vogliamo rimanere nelle esperienze più vicine a noi, diciamo negli ultimi 50/60 anni, ci ricordiamo le bravate della “gioventù bruciata” degli anni 60, i film americani con l’icona James Dean, le sfide con le corse in auto fino al limite del burrone.
Con il tempo e l’avvento di una tecnologia sempre più raffinata, queste sfide sono diventate virtuali, attraverso i Social Network. Si fanno gare a chi mangia di meno, su chi beve di più, su chi si provoca ferite corporee, chi addirittura fa esperimenti di suicidio. Si esibisce il proprio corpo senza pudori, sapendo di rischiare conseguenze non più virtuali, ma vere. Ma è quello lo scopo, il rischio e il coraggio per affrontarlo. La sessualità diventa uno spettacolo: attraverso lo smartphone si divulgano al mondo intero filmati rubati oppure prestazioni private degne di essere spettacolarizzate, o, meglio, “socializzate”.
Certo che, come considerazione personale, mi pare sicuramente più romantico pensare di affrontare con spericolatezza le corse in auto piuttosto che calarsi le mutandine di fronte all’obiettivo di una smartphone e postare le foto…
Quando le cose vanno bene e il ragazzo sente di aver acquisito una sufficiente sicurezza in se stesso per poter affrontare il mondo con le proprie forze, anche senza il sostegno del gruppo (o con un sostegno meno ingombrante e indispensabile) , comincia a prendere le distanze, comincia a “uscire dal gruppo” (come Jack Frusciante in un film degli anni 90). In genere con l’aiuto dell’amore, di un innamoramento che finalmente si realizza. Lui e lei si allontanano, vogliono appartarsi, vivere da soli la loro esperienza affettiva, i loro primi approcci sessuali. Così si realizzano come coppia, ma anche come individui.
Quando invece le cose non seguono il normale iter naturale, quando si verifica qualche intoppo, i riti che dovevano aiutare a fare il passo verso la maturità, non ottenendo questo scopo, vengono ripetuti all’infinito, si incistano, diventano essi stessi lo scopo dell’esistenza (es. l’uso di sostanze o gli stessi disturbi alimentari o una sessualità compulsiva, indiscriminata, non collegata con l’affettività, o l’utilizzo della violenza come unico canale comunicativo e relazionale).
Si crea così la dipendenza.
Per quanto riguarda i rituali sostenuti da Internet, la mia impressione è che, avendo l’utilizzo stesso dei Social la tendenza a creare dipendenza, indipendentemente da quali siti vengano frequentati, diventa sempre più complicato uscire dalle dipendenze. Questa necessità di “condividere” tutto con tutti, anche le proprie vicende personali, intime, fa pensare che sia difficoltoso conservare (o addirittura crearsi) uno spazio privato, un mondo interno proprio, esclusivo, non sempre condivisibile perché “intimo”. Esso rappresenta il nostro mondo delle emozioni, degli affetti, che sono caratteristica unica, non negoziabile e nemmeno molto influenzabile dalle vicende esterne. È uno scrigno che ci teniamo dentro, che arricchiamo continuamente con le nostre esperienze, con le relazioni, con gli affetti e al quale ricorriamo quando abbiamo bisogno di recuperare sicurezza in noi stessi. Per portare un esempio estremamente banale, io adolescente, per comprarmi un paio di scarpe, posso aver bisogno del consiglio e dell’approvazione del gruppo dei coetanei. Potrei rischiare che una scelta sbagliata comprometta la mia credibilità e la mia stessa appartenenza al gruppo. Successivamente, però, la sicurezza che comunque, per i miei gusti, farò la scelte giusta, per me (e anche per piacere agli altri), si impone su tutte la altre considerazioni. È diventata un mio bagaglio personale che guiderà la mia vita adulta. E allora, se una mattina, per vari motivi, io mi sveglio incazzato, o sono arrabbiato con qualcuno, questo stato d’animo me lo devo risolvere da solo (o con quel qualcuno). A cosa serve “postarlo” sui Social perché lo sappiano tutti? Ho evidentemente difficoltà a gestire da solo alcuni sentimenti, talora tutti i sentimenti; debbo sapere come si comporterebbero gli altri, o avere qualche incitamento, sentirmi confortato, o rimproverato… Insomma ciò che in genere si attiene a un rapporto confidenziale con l’amico o l’amica “intima”, si trasforma in una condivisione universale, direi anche una forma di spettacolo. Tutto questo, a mio parere, non dovrebbe appartenere al mondo degli adulti. Per me rappresenta il prolungamento, l’estensione del percorso adolescenziale, dal quale, lo sappiamo spesso non usciamo mai del tutto.